00 22/07/2009 14:13
Parona, la strettoia sotto accusa

«Anch'io ho rischiato di morire»

LA TRAGEDIA DI PARONA. Il racconto di un motociclista che tre anni fa è rimasto ferito in un incidente analogo. Carmine: «Lo scooter ha urtato il marciapiede e sono volato per terra» Un testimone: «Mai incidenti mortali prima che venisse creata la curva»


«Ogni volta che percorro questa strada e guardo il marciapiede mi sento un miracolato. È come se fossi nato un'altra volta». Silenzio. «Purtroppo loro non sono stati altrettanto fortunati». Carmine De Luca, 39 anni, macellaio residente a Parona ieri alle 23 era davanti al palo che si è portato via la vita di Giulia e Cristian, 16 e 19 anni, e nel dicembre del 2006 quella di Michelangelo Falzi, 39 anni.
Leggeva le lettere lasciate dagli amici e dai familiari dei due ragazzi, che in poche ore hanno trasformato quel freddo pezzo di metallo portatore di morte in un «totem» morbido, pieno di fiori e di foto sorridenti dei due ragazzi. Giulia e Cristian felici insieme, Giulia sorridente con le sue compagne, Giulia sola, il suo viso dolcissimo in primo piano. Scatti che stridono con le ultime immagini lasciate.
Loro due stesi a terra, il disperato tentativo di rianimarli, le urla strazianti del padre di Cristian, chino sul corpo immobile del figlio.

TRE ANNI FA. Carmine De Luca tre anni fa ha fatto lo stesso incidente. La dinamica è identica. Il suo scooterone ha urtato il marciapiede, finendo la corsa dieci metri più avanti. Lui è caduto prima, «atterrando» a pochi centimetri dal palo: lo spazio necessario a fare la differenza tra la vita e la morte. «Mi ero appena trasferito a Parona con la mia famiglia», racconta. «Non conoscevo bene la strada, c'era un po' di ghiaia, probabilmente ho sottovalutato la curva, che però non era segnalata allora, come non lo è adesso», racconta De Luca. «La moto è caduta e io sono volato via, ho strisciato sull'asfalto e mi sono fermato sotto il palo e sotto il marciapiede. Non li ho sfiorati, ma ho visto la morte in faccia».
SALVO PER MIRACOLO. Con l'adrenalina che aveva in corpo De Luca è risalito sulla moto ed è tornato a casa, accorgendosi solo dopo che oltre ai vestiti, sull'asfalto aveva «consumato» anche la carne del lato sinistro del corpo. «Sono dovuto rimanere a riposo, prendendo antidolorifici, per due mesi», racconta. «Ma è stato niente rispetto a ciò che poteva accadere. E lo so bene perché quando avevo 22 anni in autostrada un'auto mi ha tagliato la strada, facendomi finire contro il guard rail. Sono rimasto in coma venti giorni. Mi sono fratturato la colonna vertebrale in tre punti e ho portato il busto di gesso per due anni. Ma paradossalmente mi sono spaventato di più per l'incidente di Parona, perché a 36 anni si valuta tutto in modo diverso».
Da allora non usa più la moto. «Ho chiuso», afferma. «Basta troppo poco per morire. Anche se presti la massima attenzione qualcun altro può sbagliare e venirti addosso o puoi percorrere una strada pericolosa, magari con le buche, o fatta male come questa. Vede questo biglietto lasciato qui sul marciapiede? («Tu che hai ideato questa piazza riesci a dormire la notte con tre morti sulla coscienza?», ndr) lo sottoscrivo in pieno. Bisogna "tagliare" questa curva, creare un marciapiede più piccolo, meno pericoloso. Se non lo si farà di morti ce ne saranno ancora. E poi c'è anche il problema della striscia bianca sull'asfalto: quella a destra prima della curva è a 30 centimetri dal marciapiede, sulla curva è attaccata. Trae in inganno».
IL PALO DELLA MORTE. Nel frattempo in largo Stazione vecchia prosegue il viavai di persone attorno al «palo della morte», come è stato soprannominato a Parona, ovvero quello che sorregge l'indicazione dell'attraversamento pedonale. Non c'è auto che non rallenti passando di qua. Molte si fermano, chi è nell'abitacolo scende in silenzio, guarda le foto, legge le lettere, lo striscione steso a terra. Qualcuno lascia un biglietto. Poi se ne va. Sempre in silenzio.
«Il ragazzo morto qui nel 2006 io l'ho visto», riprende De Luca. «Stavo arrivando da Verona. Ho visto la moto a terra e sono subito sceso dall'auto. Il suo corpo era attorcigliato attorno al palo. Ho visto subito che non c'era più niente da fare. Il casco integrale non gli è bastato, il colpo al petto è stato troppo forte».
Vicino al palo anche un pensionato, che preferisce rimanere anonimo. «Abito qui vicino e la notte in cui sono morti i ragazzi ero a letto, ma stranamente non riuscivo a dormire», racconta.
URLA DISPERATE. «Ho sentito un rumore di lamiere, poi più nulla. A farmi scendere in strada sono state delle urla fortissime, sembravano disumane. Sono corso sotto a vedere cosa stava succedendo e ho visto i corpi dei ragazzi. Lui era steso, con le braccia in alto, gli stavano praticando il massaggio cardiaco. Attorno c'era tanta gente. Ho sentito qualcuno dire che il suo cuore faceva un battito, poi si fermava, poi ne faceva un altro e si fermava di nuovo. A un metro da lui, la ragazza: su di lei c'erano due medici che hanno fatto di tutto per salvarla. Vicino a me una donna telefonava. Le ho sentito dire «Cristian è morto, Cristian è morto». Mi hanno detto che era la mamma di Giulia. A quel punto ho iniziato a tremare, sono andato via, avevo lo stomaco in bocca. Non si può morire così. Abito a Parona da sempre, ma in questo tratto non si erano mai verificati incidenti mortali prima che venisse creata la curva ad "esse". Hanno "storto" una strada dritta. Capisco fosse stata lungo l'Adige o il lago di Garda, dove in alcuni tratti non ci sono alternative, ma è assurdo averlo fatto qui».

Chiara Tajoli

www.larena.it



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