Il fermento che Verona sta vivendo per il basket sembra aver superato i confini oceanici, se è vero che gli Harlem Globetrotters hanno scelto la città scaligera, una delle otto tappe italiane, fra le piazze che stanno dimostrando il miglior fervore per la palla a spicchi. Il 6 maggio saranno al Palasport (ore 21), tappa che segue quella di Trieste e precede quelle di Cremona, Milano, Torino, Cantù e poi Cagliari e Sassari, per trasformare lo sport in show, nel grande contenitore che da tempo chiede il meglio. «Gli Harlem proporranno, a stretto contatto con il pubblico e senza transenne, due ore di puro spettacolo, nel quale il messaggio atletico-cestistico sia quasi tangibile - ha spiegato Franz Pinotti, responsabile per l’Italia dei “giramondo” - Due anni fa, la loro presenza ha portato bene alle piazze ospitanti che vissero i play-off: non un fatto casuale, Verona in B2 si è già conquistata la lotta per la promozione, ma l’aver saputo interpretare con anticipo l’entusiasmo del pubblico».
Partire da un fondamentale, per costruire il gesto atletico, è questa la filosofia cestistica degli Harlem che in America hanno lo stesso seguito dell’Nba, ma rispetto ai loro «colleghi» preferiscono lo spettacolo fine a se stesso, privo di competizione agonistica per meglio divertire il pubblico, uscendo dal campo sempre vincenti.
«In passato molti cestisti americani si sono divisi fra il campionato professionistico e i “Globe”, due nomi su tutti Wilt Chamberlain e Magic Johnson - sottolinea Pinotti -. Due mondi oggi separati dal diverso modo di pensare al basket, dove ci sono gli Harlem tutti tornano bambini».
Oltre 20 mila partite giocate, 100 nazioni visitate, gli Harlem nati nel ’26, l’Nba ha visto la luce vent’anni dopo, sono stati gli ispiratori di molti futuri cestisti, come Dino Meneghin che quando li vide a Varese nei primi anni ’60, ne fu rapito. Applauditi nel 2000 anche da Giovanni Paolo II, nominato Globetrotters onorario, i funamboli del pallone passarono due volte anche da Verona, al vecchio stadio Bentegodi negli anni ’60 e al palasport nell’86.
«Per chi ama il basket, è difficile non aver mai visto gli Harlem, almeno alla tivù - ha detto l’ex pivot della Scaligera Sandro Boni - Anche per noi che abbiamo giocato nella massima categoria italiana, è uno spettacolo che lascia a bocca aperta». «Quando giocavo a Biella avevo in squadra Joseph Blair che prima di venire da noi, non avendo trovato posto nell’Nba, aveva passato un anno con i “Globe” . Quello che faceva in allenamento era stupefacente» ha raccontato Giampaolo Zamberlan. «Rappresentano lo specchio bambinesco dello sport, l’entusiasmo che cattura soprattutto i piccoli, come vedo nelle nostre partite» ha sostenuto Ousmane Gueye, ala della Banca Popolare. «Degli Harlem hanno fatto parte anche alcune atlete, potrebbe essere un segnale per il rilancio del basket femminile» ha sostenuto Francesco Piscitelli, coach della Pakelo. «Un evento importante per la nostra città - ha detto l’assessore allo sport di Verona Federico Sboarina -. L’amministrazione sta sostenendo una serie di iniziativa a favore del basket, uno sport molto amato dai veronesi e che vedrà scendere in campo, dopo gli Harlem, la nazionale italiana; senza dimenticare di alimentare le nostre radici, come il torneo nei quartieri che verrà riproposto quest’estate, con la finale in una piazza della città».
Prima di scendere al Palasport gli Harlem saranno ospiti della Grande Mela alle 18, dove intratterranno i piccoli atleti delle società veronesi. I biglietti per lo spettacolo sono in vendita agli indirizzi
www.ticketweb.it e
www.tichetone.it : ridotti a 15 euro, tribune dai 21 ai 32 euro.
www.larena.it
Un frammento d'eternità può alterare il corso del tempo. Chiunque può farlo se gli viene concessa una seconda possibilità. Si tratta solo di sfruttarla in maniera diversa dalla prima. Così stiamo ancora cercando qualcuno che pensi al posto nostro. Ora più che mai, perché lo scopo è capire se è meglio il punto di partenza o il punto di arrivo. Forse basterebbe collocare il frammento d'eternità in un tempo che non gli appartiene. Questo è quello che fa Slam.
(Lolly, Slam n° 33, 1999)